Una voce per due

Enrico Maggi

Cinema, televisione, animazione, pubblicità: non c’è settore dove Enrico Maggi non abbia prestato la sua voce. Nato come attore teatrale (attività che tuttora pratica) Enrico Maggi è oggi uno dei più noti doppiatori e speaker dell’area milanese.

Formatosi con un lungo curriculum teatrale che include tra gli altri Dario Fo, il Piccolo Teatro diretto da Giorgio Streheler, Albertazzi, Parenti, Soleri, Mazzarella, Calindri e una notevole esperienza nella commedia dell’arte, Enrico Maggi ha poi intrapreso anche la strada del doppiaggio, cimentandosi con personaggi di ogni tipo. Ha dato la sua voce a Oliver Hardy (Ollio) e a molti personaggi di telefilm e cartoni animati, e dal 1997 è la “voce ufficiale” dei promo di Canale 5.

Enrico Maggi ha cominciato la sua carriera nel 1970 in una compagnia teatrale universitaria, e proprio tramite la compagnia teatrale dell’Università di Milano – con la quale sta attualmente collaborando – abbiamo potuto raggiungerlo per fargli qualche domanda sulla voce. Gli racconto del progetto “Erìsimo a Milano” e mi accorgo che sull’erìsimo sa molte cose: a cosa serve, come si usa, dove si trova; del resto è un vero professionista della voce che sicuramente sa come prendersene cura.

AB: Parlaci di come hai iniziato a fare doppiaggio.

EM: Inizialmente ho lavorato vari anni come attore teatrale. Ho iniziato l’attività di doppiatore alla fine degli anni ’70, un periodo in cui c’era molta richiesta, soprattutto nelle aree di Milano e Roma. Io mi sono trovato bene, la mia voce funzionava e così ho continuato. Chiaramente anche questo è un lavoro che, come del resto il cinema o il teatro, subisce delle “mode”: per esempio quando c’è stato il boom dei cartoni animati giapponesi per bambini, il lavoro del doppiaggio era in gran parte svolto da attrici perché la loro voce è più adatta per doppiare questi personaggi.

AB: Quando penso a un doppiaggio, immagino che con la voce si possa fare un ritratto; e questo ritratto può essere “imitazione” di una persona, che ritrae fedelmente quello che si vede, oppure “interpretazione”, come in quadro astratto che non riproduce fedelmente un oggetto ma piuttosto comunica la sua “essenza”. C’è secondo te questa scelta?

EM: Infatti è così. Oltre che il doppiatore mi sono occupato spesso di direzione del doppiaggio. Come si sceglie una “voce”? Si studia il carattere del personaggio da doppiare, e in base a quello si sceglie e si modella la voce migliore per ottenere l’interpretazione giusta. Non è detto che il “timbro” della voce debba necessariamente essere lo stesso nell’originale e nel doppiato; ovviamente si cerca anche di tener conto della fisicità del personaggio, ma ciò non vuol dire che un uomo alto e grosso debba per forza avere un vocione. Quello che conta è il carattere, l’intenzione che devi rendere e per fare questo devi studiare molto attentamente l’attore che devi doppiare.

Marlon Brando, ad esempio aveva una voce abbastanza comune; ma il doppiaggio di Giuseppe Rinaldi era meraviglioso e sapeva interpretare perfettamente il carattere dei personaggi che Brando interpretava. La voce di James Dean esprimeva tormento, nevrosi e il suo doppiaggio doveva trasmettere quell’inquietudine sottile ed interiore. Per Al Pacino la voce di Giancarlo Giannini è perfetta perché sa cogliere le sporcature, i passaggi psicologici, i momenti difficili eccetera.

Recentemente ho fatto un provino per un ruolo di poliziotto in un telefilm francese, e sono stato scelto. Risentendomi ho capito perché mi hanno scelto: perché in quel ruolo riuscivo a rendere le sfumature del personaggio, un po’ tormentato…e questo è tutto ciò che serve.

AB: C’è una voce che secondo te è stata doppiata male e che ti piacerebbe reinterpretare?

EM: Sì certo, mi capita spesso, ma è un gioco (ride, NdR). In realtà spesso non si riesce a ottenere esattamente la voce che si vorrebbe; l’industria del doppiaggio corre veloce e a volte non si può scegliere la voce giusta semplicemente perché magari in quel momento non è disponibile.

AB: Che consiglio puoi dare a un giovane che vuole fare il doppiatore?

EM: Innanzitutto di essere un attore. La gente pensa che il doppiatore sia solo “voce”, ma non è così: dietro la voce ci vuole il corpo, il movimento; se tu potessi vedere come lavoriamo in una sala di doppiaggio vedresti che ci muoviamo, facciamo le facce, sudiamo, mettiamo tutta la forza del fisico nella nostra interpretazione esattamente come fa un attore di teatro. Solo che siamo davanti al leggìo! Solo così si può tirar fuori una gamma di suoni differenti.

AB: Del resto questo è coerente con quanto ci insegnano i foniatri e gli insegnanti di canto. Anche quando si canta ci insegnano che il suono della voce cambia a seconda delle nostre espressioni facciali e della postura.

EM: Esatto. Nella nostra vita quotidiana noi abbiamo una vastissima gamma di suoni e di espressioni, solo che a volte non li usiamo. Gli studenti riempiono le aule dei docenti che hanno una voce interessante da ascoltare, se no si annoiano e non ci vanno!

AB: Eh già, io ne so qualcosa! Ti è mai venuta voglia di dire a una persona “prova a parlare in questo modo…”, ad esempio parla più lentamente, o a volume più alto o più basso? Ovvero, esistono delle “buone pratiche vocali” che potrebbero essere insegnate?

EM: Direi di sì, probabilmente esistono; oggi va di moda il “public speaking” che alcune aziende richiedono. A me personalmente piace lavorare sulle intenzioni più “a monte”; mi piace lavorare come se ognuno di noi dovesse diventare un attore, per acquisire una certa padronanza della voce.

Come dico sempre, la voce appartiene per metà a me e per metà a chi la ascolta. È  un ponte, di legno o di cemento o di bambù, e a seconda di come costruiamo questo ponte ci camminiamo sopra in modo diverso. La voce è un tramite di sensazioni, emozioni, sentimenti e anche chi l’ascolta dovrebbe saper accogliere ciò che viene comunicato

Esiste la tecnica, certo; anche i doppiatori, come i cantanti, scaldano la voce usando tecniche analoghe a quelle che usano  i cantanti e curando il proprio strumento. Ma poi è importante il lavoro che si fa dopo:

Avere un gruppo, all’interno del gruppo far crescere delle motivazioni, cominciare a prendere in mano delle cose, lette, scritte, e cercare di far schizzar fuori da quelle cose lette e scritte l’umanità della parola.

Ogni parola ha una sua storia; non solo un suo etimo, ma anche una sua fisicità, un suo sangue, un suo corpo. Ecco cos’è la recitazione: far schizzar fuori dalle cose scritte la vita.

È un percorso il cui primo step è l’autocoscienza, la consapevolezza di cos’è la tua voce, che è il tuo biglietto da visita. E non dimentichiamo che la voce è strettamente legata al tuo umore: essa cambia a seconda degli stati d’animo e segue il tuo percorso emotivo. Lavorando in questo settore mi sono anche reso conto di quanto la voce influisce anche sui rapporti personali, all’interno della famiglia, della coppia, tra genitori e figli, tra docenti e studenti, e in ogni ambito. Io ad esempio ho tanti di ricordi di mai madre, ma soprattutto ricordo la sua voce. E sentire la sua voce registrata mi emoziona di più che guardare una sua fotografia, perché la voce la fa “rivivere”.

AB: Quindi c’è la fisiologia ma poi, come sempre, c’è l’anima. E se uno/a volesse cambiare la propria voce? È una domanda di fantascienza, ma credi che esisteranno un giorno i “trapianti di voce”?

EM: So che ci sono degli studi in corso, con cellule staminali…non è proprio il mio settore ma chissà, magari in futuro si potrà fare. Però quando un allievo mi dice “la mia voce è brutta ” io lo fermo subito. Ciò che insegno ai miei allievi è che ogni voce è unica, personale, e non ha senso cambiarla. Dentro ogni voce ci sono tanti colori, tante sfumature: bisogna trovarle, lavorare sulla voce, captare le onde che portano da una parte piuttosto che da un’altra e farle emergere. Tu puoi essere una donna sexy o la strega di Biancaneve, dipende da te e dalla profondità con cui lavori. Naturalmente puoi anche restare più in superficie, e in tal caso potrai fare speakeraggio, documentaristica, spot pubblicitari… Tutti bellissimi lavori, intendiamoci, ma essere attori richiede un grado di maggior approfondimento.

www.antoniogenna.net

wikipedia.org/wiki/Enrico_Maggi


Articolo a cura di Angela Bassoli

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